Possiamo contattare un cliente per recuperare un consenso al marketing precedentemente negato?

Un cliente, compilando la privacy che gli viene fornita, nega il consenso al trattamento dei suoi dati per il marketing. Può l’azienda contattarlo per richiedere un nuovo consenso?

E, a questo punto, il consenso così ottenuto è valido, oppure risulta un trattamento illecito di dati personali? Telecom ci ha provato, il Garante ha detto “No”, e la compagnia telefonica ha tentato il ricorso fino all’ultima istanza, perdendo. Quali ne sono stati i motivi?

Con sentenza n. 11019 della Corte di Cassazione del 26/04/2021 si conclude la diatriba tra Telecom e il Garante per la Privacy, in merito alla campagna “Recupero consenso” messa in atto da Telecom.

Vediamo insieme cosa è successo.

Durante il 2015 Telecom aveva messo in atto una campagna telefonica, denominata “Recupero consenso”, per ottenere dai suoi clienti, ma anche da ex clienti, il consenso a ricevere comunicazioni commerciali che avevano precedentemente già negato, nell’ottica di poter poi, una volta ottenuto, promuovere presso questi soggetti le nuove campagne promozionali della compagnia telefonica.

Su segnalazione di alcuni utenti che non avevano appunto dato il consenso alle promozioni, e addirittura erano iscritti al Registro delle opposizioni, il Garante Privacy si era attivato e, rilevati gli illeciti, promulgava un provvedimento in cui vietava <<l’ulteriore trattamento per finalità di marketing dei dati personali riferiti alle utenze oggetto della campagna “Recupero consenso” trattati in assenza di consenso legittimamente manifestato, ai sensi degli artt. 23 e 130, comma 3, del Codice Privacy>>.

A questo provvedimento i legali di Telecom hanno proposto un ricorso presso il Tribunale di Milano, il quale, con sentenza del 5 maggio 2017, lo rigettava, in quanto ravvedeva nella telefonata rivolta al recupero del consenso al trattamento per fini di marketing una funzione commerciale, equiparandola, di fatto, ad una classica telefonata a scopo promozionale.

Questo si evince proprio dallo script fornito ai partners Telecom, così formulato: << Ci piacerebbe acquisire il suo consenso per tenerla aggiornata sulle nostre offerte, oggi più interessanti rispetto a quando era nostro cliente. Se è interessato la invitiamo a lasciarci il suo consenso ad essere ricontattato da Telecom Italia/Tim. La informiamo che, se ci fornirà il suo consenso, Telecom Italia potrà trattare i suoi dati individuali e dettagliati per proporle nuove offerte, per vendita diretta, per ricerche di mercato, anche con modalità automatizzate. Ci fornisce il suo consenso?>>.

Secondo il Tribunale di Milano, quindi, all’operatore telefonico non era consentito né vanificare la volontà degli interessati, né a trattare i dati di clienti e addirittura di ex clienti che avevano scelto di non essere contattati nuovamente da Telecom/Tim. Addirittura, doveva essere considerato nullo anche il consenso acquisito tramite questa campagna di recupero, in quanto scaturita da un trattamento illecito dei dati.

Telecom propone quindi ricorso anche per Cassazione, a cui il Garante resiste.

Si arriva quindi alla sentenza del 26/04/2021, della prima sezione civile, in cui Telecom Italia/Tim perde, nuovamente, contro il Garante per la protezione dei dati personali, con le seguenti motivazioni:

  • “Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 152 del Codice Privacy e 3 della legge 241 dell’8 agosto 1990, per avere il Tribunale espresso impropriamente una motivazione postuma, ritenendosi (Telecom) legittimato a non svolgere il doveroso sindacato sula correttezza formale dell’impugnato provvedimento del Garante, in ordine all’esistenza e adeguatezza della motivazione ivi contenuta, contrariamente a quanto richiesto al giudice in sede di impugnazione dei provvedimenti amministrativi”. Per la Corte di Cassazione questo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la motivazione, dopo averlo esaminato a fondo, contenuta nel provvedimento del Garante che qualificava la campagna di recupero del consenso come avente finalità commerciale.
  • “Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 130, comma 3, del Codice Privacy, per aver qualificato come comunicazione commerciale o promozionale un’attività consistita in telefonate volte al recupero dei consensi che non rientrava nella definizione normativa di <<comunicazione commerciale>> di cui all’art. 7, comma 4, del Codice. Inoltre, l’inibitoria pronunciata, in relazione ai consensi comunque ottenuti dall’operatore telefonico, sarebbe contraddittoria rispetto alle finalità di acquisire e rispettare la volontà degli interessati”. Anche qui, il motivo dell’opposizione è ritenuto infondato, in quanto la finalità commerciale della campagna per il recupero del consenso presso chi lo aveva già negato è indubbiamente innegabile e non scindibile. Per la Corte di Cassazione “una comunicazione volta ad ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l’abbia precedentemente negato, è essa stessa una comunicazione commerciale”, per cui il tribunale non è incorso, come dichiarato dai legali di Telecom, alla falsa applicazione dei parametri normativi. Inoltre, non si può ammettere che si vanifichi la volontà di chi addirittura si sia iscritto al Registro delle Opposizioni, registro che le società sono obbligate a consultare prima di effettuare una telefonata per ottenere consensi ad offrire beni e servizi. Gli interessati possono sì mutare opinione rispetto al trattamento dei loro dati, ma nell’ambito di iniziative positive, quali possono essere il chiamare il numero 119 o nel contesto di richieste di informazioni. Oltre ciò, per quello che riguarda il divieto di trattare ulteriormente i dati il cui consenso è stato ottenuto tramite la campagna di recupero, la sentenza impugnata è immune da vizi, come denunciato da Telecom, in quanto “i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere trattati”, a norma dell’art. 11, comma 2, del Codice Privacy e della previsione del sistema dell’opt-out introdotto con l’art. 130, comma 3 bis del Codice.

In virtù dei motivi elencati, Telecom Italia/Tim perde il ricorso contro il Garante per la protezione dei dati personali.

Si conclude così, come detto all’inizio, una diatriba che dura da 5 anni, e per la quale Telecom ora dovrà mettere in atto tutte le indicazioni del provvedimento del Garante (Provv. 275 del 22/06/2016).

Per ulteriori approfondimenti della sentenza della Corte di Cassazione

http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

Per il Provvedimento del Garante

https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/5255159

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